Associazione Nazionale Giuristi In Centro - Cod.Fisc.97576960583
L’impatto
dell’emergenza
sanitaria
conseguente
al
Covid-19
sull’attività
dei
Centri
Commerciali
è
ovviamente straripante.
Come
noto,
il
Governo
ha
assunto,
nel
tempo,
una
serie
di
misure
volte
a
limitare
le
aperture
delle
attività
commerciali
in
funzione
delle
relative
categorie
merceologiche
con
il
duplice
intento,
da
un
lato
di
limitare
i
movimenti
e
la
contiguità
fisica
fra
i
cittadini
e,
dall’altro,
di
garantire
l’erogazione dei servizi o l’acquisto di beni considerati come essenziali.
La
chiusura
della
maggior
parte
delle
attività
all’interno
dei
centri
commerciali,
ha
determinato
un
acceso
dibattito
fra
le
parti
contrattuali,
circa
il
diritto
a
invocare
l’emergenza
sanitaria
al
fine
di
sospendere
l’obbligo
di
adempimento
da
parte
degli
affittuari/conduttori
dei
vari
rami
di
azienda/locali
che
compongono
i
centri
commerciali
nel
pagamento
degli
affitti,
canoni
o
spese
comuni di gestione e, finanche di chiedere la risoluzione contrattuale.
Da
un
lato,
si
sono
quindi
prodotte
da
parte
degli
operatori,
comunicazioni
alle
proprietà
con
richiami alle norme generali del diritto e, segnatamente, agli articoli:
Art. 1256 Cod.Civ.
(Impossibilità definitiva e impossibilità temporanea)
L'obbligazione
si
estingue
quando,
per
una
causa
non
imputabile
al
debitore,
la
prestazione
diventa impossibile.
Se
l’impossibilità
è
solo
temporanea,
il
debitore,
finche'
essa
perdura,
non
è
responsabile
del
ritardo
nell'adempimento.
Tuttavia
l'obbligazione
si
estingue
se
l’impossibilità
perdura
fino
a
quando,
in
relazione
al
titolo
dell'obbligazione
o
alla
natura
dell'oggetto,
il
debitore
non
può
più
essere
ritenuto
obbligato
a
eseguire
la
prestazione
ovvero
il
creditore
non
ha
più
interesse
a
conseguirla.
Art. 1463 Cod.Civ.
(Impossibilità totale)
Nei
contratti
con
prestazioni
corrispettive,
la
parte
liberata
per
la
sopravvenuta
impossibilità
della
prestazione
dovuta
non
può
chiedere
la
controprestazione,
e
deve
restituire
quella
che
abbia
già
ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell'indebito.
Art. 1464 Cod.Civ.
(Impossibilità parziale)
Quando
la
prestazione
di
una
parte
è
divenuta
solo
parzialmente
impossibile,
l'altra
parte
ha
diritto
a
una
corrispondente
riduzione
della
prestazione
da
essa
dovuta,
e
può
anche
recedere
dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all'adempimento parziale.
Dal
lato
delle
proprietà,
innegabilmente
anch’esse
e
come
tutti,
parti
lese
dal
comune
nemico,
si
sono
prodotte
comunicazioni,
a
volte
di
contrasto
alle
richieste
degli
operatori,
a
volte
di
parziale
accoglimento
o,
a
volte,
di
semplice
moratoria
in
attesa
di
concreti
interventi
governativi
in
grado
di
lenire
i
danni
e,
soprattutto,
di
aiutare
tutte
le
parti,
oltre
che
nell’emergenza,
anche
e
soprattutto nella difficile futura “ricostruzione”.
Sotto
questo
profilo,
l’art.
91
del
Decreto
Legge
17
marzo
2020,
n.
18
(
Misure
di
potenziamento
del
Servizio
sanitario
nazionale
e
di
sostegno
economico
per
famiglie,
lavoratori
e
imprese
connesse
all'emergenza
epidemiologica
da
COVID-19
),
ha
previsto
che:
“Il
rispetto
delle
misure
di
contenimento
di
cui
presente
decreto
è
sempre
valutata
ai
fini
dell'esclusione,
ai
sensi
e
per
gli
effetti
degli
articoli
1218
e
1223
c.c.,
della
responsabilità
del
debitore,
anche
relativamente
all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.”
La
previsione,
risolve
poco
o
nulla
perché
fa
solo
espresso
riferimento
alla
responsabilità
relativa
ad
eventuali
decadenze
o
penali
e
nulla
dice
in
ordine
alla
sorte
degli
adempimenti
contrattuali
né,
tantomeno,
poteva
prevedere
alcunché
senza,
troppo
semplicisticamente,
far
ricadere
gli
effetti
della
pandemia,
a
carico
di
una
delle
due
parti
contrattuali
così
aggravando
il
problema
che,
innegabilmente
esiste
e
che
dovrà
essere
affrontato
se
non
si
vuole
che
il
prossimo
futuro
veda
l’inasprimento
dei
rapporti
fra
le
parti
contrattuali
ed
un
prevedibile
smisurato
ricorso
alle
aule
dei
Tribunali
che
verrebbero
così
trasformate,
da
sede
per
la
soluzione
del
caso
singolo
in
succedaneo per la soluzione dell’emergenza nazionale.
Gli
operatori
del
settore,
sono
stati
investiti
da
una
proliferazione
di
pareri,
più
i
meno
categorici
su
una
moltitudine
di
giornali,
riviste
e
siti
web,
senza
che,
probabilmente,
esista
una
soluzione
certa
e
univoca
della
vicenda
in
grado
di
riparare
i
danni
prodotti
dalla
pandemia
e
quelli
che
produrrà nel tempo sui consumi e sulle nostre abitudini e stili di vita.
Allo
stato,
nel
susseguirsi
di
provvedimenti
e
di
anticipazioni
giornalistiche,
oltre
alle
generali
misure
di
sostegno
messe
in
campo
e/o
in
via
di
approvazione,
la
norma,
astrattamente
di
più
immediato
potenziale
aiuto
nel
nostro
specifico
settore,
poteva
essere
quella
di
cui
all’art.65
(Credito
d’imposta
per
botteghe
e
negozi)
del
predetto
Decreto
Legge
17
marzo
2020,
n.18
che
prevede:
“1.
Al
fine
di
contenere
gli
effetti
negativi
derivanti
dalle
misure
di
prevenzione
e
contenimento
connesse
all’emergenza
epidemiologica
da
COVID-19,
ai
soggetti
esercenti
attività
d’impresa
è
riconosciuto,
per
l’anno
2020,
un
credito
d’imposta
nella
misura
del
60
per
cento
dell’ammontare
del
canone
di
locaz
ione,
relativo
al
mese
di
marzo
2020,
di
immobili
rientranti
nella
categoria
catastale
C/1.
Il
credito
d’imposta
non
si
applica
alle
attività
di
cui
agli
allegati
1
e
2
del
decreto
del
Presidente
del
Consiglio
dei
ministri
11
marzo
2020
ed
è
utilizzabile,
esclusivamente,
in
compensazione
ai
sensi
dell'articolo
17
del
decreto
legislativo
9
luglio 1997, n. 241…”
“Malaugurante”
o
per
cosciente
scelta
politica,
la
norma
si
riferisce
esclusivamente
a
immobili
aventi
la
sola
specifica
categoria
catastale
“C1”,
così
da
lasciare
fuori
dal
suo
campo
di
applicazione,
in
evidente
ed
abbagliante
disparità
di
trattamento,
tutti
gli
immobili
che,
ancorché
destinati
ad
attività
commerciali
e
d’impresa,
abbiano
il
solo
torto
di
avere
diversa
destinazione
catastale,
come
nel
caso
dei
locali
all’intero
dei
centri
commerciali
(normalmente
accatastati
come “D8”).
Allo
stesso
modo,
la
norma
si
riferisce
a
canoni
di
locazione
e
non
a
canoni
di
affitto
di
rami
di
azienda;
anche
in
questo
caso
senza
un’apparente
motivazione
e
anzi,
in
manifesta
contraddizione con le finalità cui dovrebbe essere destinato il beneficio.
Qualunque
speranza
di
possibile,
agevole,
interpretazione
estensiva
della
norma
(per
la
naturale
affinità
fra
affitto
e
locazione
e
fra
le
diverse
destinazioni
catastali)
è
stata
infine
“stroncata”
dalla
Circolare
dell’Agenzia
delle
Entrate
n.8/E
del
3
aprile
2020
che
ha
ben
chiarito
come
il
credito
d’imposta
si
debba
riferire
alla
sola
categoria
catastale
espressamente
indicata
nel decreto.
Si
è
da
più
parti
sollecitata
una
riformulazione
della
predetta
norma
e,
lo
stesso
C.N.C.C.
–
Consiglio
Nazionale
dei
Centri
Commerciali,
è
più
volte
autorevolmente
intervenuto
presso
le
Istituzioni
al
fine
di
sollecitare
un
provvedimento
del
Governo
che,
allo
stato,
appare
decisamente indifferibile.
Si
discute,
al
riguardo,
anche
della
possibilità
di
prevedere
la
possibile
cedibilità
del
credito
d’imposta, dal conduttore/affittuario beneficario del credito stesso, al locatore/affittante.
Con
il
passare
del
tempo,
ferme
e
indelebili
nelle
nostre
menti
le
sofferenze
per
i
tanti,
troppi,
strappati
alla
vita
e
agli
affetti
dei
loro
cari
dal
Covid-19,
rimane
l’emergenza
della
ricostruzione,
dalla cui sapiente gestione, dipende inevitabilmente il nostro futuro.
I
centri
commerciali,
nella
breve
storia
della
loro
evoluzione
nazionale,
hanno
dovuto
superare
mille
difficoltà,
a
iniziare
dai
pregiudizi,
e
certamente
fanno
e
faranno
di
tutto
per
superare
la
crisi
e
ritornare
presto
ad
essere,
sempre
più,
strutture
di
riferimento
sul
territorio,
luogo
di
aggregazione
e
d’intrattenimento
fra
le
persone
e,
non
da
meno,
fornitori
di
beni
e
servizi
essenziali per la popolazione.
Emergenza COVID-19
L’impatto sul comparto dei Centri
Commerciali